Dove mettere i sedimenti dragati? Alla vigilia della Shipping Week 2021 di Genova, Arpal ha pubblicato sul proprio sito un documento che aiuta a risolvere una questione vitale per i porti: cosa fare dei materiali dragati per evitare il blocco dei porti.
Questo tipo di operazioni, infatti, deve essere ripetuta periodicamente per permettere la funzionalità delle banchine, che altrimenti non potrebbero far accostare le navi con i pescaggi più elevati.
Esiste una norma – il decreto ministeriale 15 luglio 2016 n. 173 – che introduce criteri tecnici per l’autorizzazione all’immersione in mare di tali sedimenti; fra i diversi requisiti è richiesto lo studio dei fondali in cui si vorrebbero collocare.
Regione Liguria ha perciò commissionato ad Arpal un approfondimento sul tema, finalizzato ad acquisire tutte le informazioni disponibili sull’impatto ambientale di tipo fisico dovuto all’immersione dei sedimenti portuali e all’individuazione di quelle aree del Mar Ligure (che arriva fino a 2600 metri di profondità) in cui tale attività sia vietata.
I sedimenti infatti possono essere immessi in “oceani profondi”, ossia con fondali oltre i 200 m; oppure oltre le 3 miglia nautiche dalla costa, qualora non si sia ancora scesi a -200. In ogni caso è indispensabile una corretta valutazione di tutta una serie di aspetti, dalla morfologia del fondale a quelli biologici, senza tralasciare attività di pesca professionale, vincoli come in presenza di cavi e condotte, o altri eventuali usi legittimi del mare.
Dopo oltre un anno di lavoro, la scorsa primavera è stato consegnato lo “Studio propedeutico di inquadramento per le aree di esclusione e di reperimento per l’immersione deliberata in mare dei materiali di escavo dei fondali marini di cui al D.M. 15 luglio 2016, n. 173”, realizzato da chimici, geologi e scienziati ambientali: al suo interno ricerche, svolte anche grazie alla collaborazione con l’Università di Genova–Dipartimento di Scienze della Terra dell’Ambiente e della Vita, mappe, indicazioni modellistiche e operative, relative ai piani di monitoraggio da adottare.
E l’individuazione di tre aree, per oltre 1100 km2, dove non è escludibile a priori la possibilità di immissione dei sedimenti dragati.
Uno studio che rappresenta il punto di partenza per una attività indispensabile alla funzionalità del più importante sistema portuale italiano, ripreso anche all’interno del gruppo di lavoro del Sistema nazionale di protezione dell’ambiente dedicato a queste tematiche.